14/06/2022
Quando si parla di salute e di scelte sanitarie, si entra in un discorso complicato che sfocia anche nell’etica. La pandemia da Covid-19 lo ha mostrato in maniera chiara: il genitore ha degli obblighi importanti nei confronti del figlio minorenne. E questi obblighi spesso vanno a invadere diverse sfere della vita che sconfinano il semplice diritto alla salute e che attingono all’identità personale, all’intimità privata e al diritto al nome.
La Legge 22 dicembre 2017 n. 219 in materia di consenso informato e direttive anticipate di trattamento è un po’ la pietra miliare di questi temi eticamente rilevanti che ogni giorno creano dibattito politico e condizionano l’opinione pubblica. Senza questo fondamentale intervento legislativo, si era destinati a continuare a polemizzare e dibattere su temi e decisioni particolarmente delicate con la conseguenza di far ricadere su giudici e magistrati la scelta di decidere sul futuro di un minore. Questo, senza dubbio, avrebbe portato al rischio di creare gravi situazioni di disuguaglianza tra i cittadini.
La tutela dei soggetti vulnerabili
La legge 219/2017 tutela i soggetti vulnerabili e mette al centro la persona umana. L’intento della norma è quello di tutelare le persone che si trovano in una fase della vita particolarmente delicata e che di conseguenza sono vulnerabili. Questa legge si è espressa in generale sulle persone vulnerabili e ha fissato limiti medici, bioetici e giuridici alle cure mediche, principi legalmente applicabili anche ai minori d’età. L’articolo 3 della legge 219/2017 accomuna, agli effetti del consenso/dissenso informato, distinte categorie degli interdetti giudiziali, minori, inabilitati e i soggetti beneficiari di amministrazione di sostegno, e conferma che la loro volontà è validamente manifestata dal rappresentante legale.
L’approccio è quello garantista: se una persona è incapace di agire, la sua volontà viene delegata a un altro soggetto. Nel caso di trattamenti sanitari però, interviene anche la consapevolezza del minore che è da rapportare alla sua capacità di comprendere e avere percezione di determinate dinamiche. Il comma 1 dell’articolo 3 afferma che “la persona minore di età ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui al comma 1 dell’articolo 1”.
La proprietà intellettuale del minore
Quest’ultimo riferimento è ai principi costituzionali che riconoscono al fanciullo capace di discernimento e il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi, nonché alla normativa statale che fa riferimento alla convenzione dei diritti del fanciullo di New York e all’articolo 6 della convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del minore. In linea generale quindi sono i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale ad aver l’obbligo di valutare i trattamenti sanitari più consoni e conformi per il minore e nel caso a valorizzare la volontà espressa dal minore in base al buon senso. Il volere di un bambino di 16 anni è senza dubbio più autorevole del volere di un bambino di sette anni.
Contrasti fra genitori e medici
Capita spesso che genitori e medici non siano d’accordo sui trattamenti sanitari: in questo caso, come ci si deve comportare. La legge del 2017 è molto chiara: “nel caso in cui il rappresentante legale del minore rifiuti le cure proposte ed il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al Giudice tutelare”. Spetterà quindi al giudice raccogliere, confrontare e valutare le istanze e le motivazioni dei soggetti coinvolti e compiere la scelta migliore per tutelare il minore.
Prima della legge 209/2017, il personale medico era solito adire il Pubblico Ministero presso il Tribunale Minorile per ottenere una pronuncia giurisdizionale che andasse a sostituire il consenso dei genitori. La richiesta poteva essere accompagnata da un provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale (prassi nel caso di genitori Testimoni di Geova che non consentono trasfusione ai figli). Adesso invece con l’introduzione di questa Legge la prassi è cambiata: “Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria”.
Cosa succede quanto il minore è in età matura
Un discorso a parte va fatto per i minori che sono sufficientemente maturi per prendere decisioni sul proprio corpo e sulla propria salute. Se un minore rifiuta il trattamento sanitario, validato che sia un suo libero e consapevole pensiero, va considerato e tutti i soggetti coinvolti nella sua cura (legali rappresentanti, medici e magistrati) non potranno non tenerne conto affinché il loro operato non vada in contrasto con la sua dignità umana. Il giudice dovrà tenere conto di ciò e valutare attentamente le scelte e il profilo psico emotivo del minore.